storia dell'arte

Pillole…di storia dell’arte: parlare di un museo

Che cosa è un museo?

Partiamo innanzitutto dalla considerazione che esistono diversi generi di musei: storico, demoetnoantropologico,archeologico, paleontologico, di scienze naturali, botanico, del costume e della moda, del giocattolo, e tanti altri ancora; poi esistono le gallerie e le pinacoteche. Insomma esistono diversi tipi di museo, ma tutti devono (o per lo meno dovrebbero), rispondere ad alcuni elementi indispensabili per far sì che un’esposizione sia in grado di veicolare il contenuto informativo e il significato delle collezioni, per creare un legame tra visitatore e patrimonio culturale. 

A tale proposito mi è sobbalzato per la mente una parte che avevo scritto, quasi un anno fa, nella mia Tesi di Laurea Magistrale, dal titolo I codici liturgici del Monastero dei Benedettini di Catania: progetto di conservazione e valorizzazione, pag. 108.

[…] il concetto di museo è definito in funzione non soltanto delle esigenze di conservazione e tutela, pur essendo fondamentali, ma anche in virtù della valorizzazione e quindi del pubblico godimento, superando la concezione “statica” di museo[1]. Esso si conosce come il luogo per eccellenza in cui si conservano e mettono in mostra oggetti del passato; eppure ci si dovrebbe innanzitutto occupare dell’esperienza museale, trovando il modo di interagire con la società, e attrezzarsi per rendere sempre più interattivo il dialogo tra le opere e i visitatori.

Quindi il museo deve essere in grado di suscitare sorpresa e stupore prima di tutto, e poi innescare un processo di conoscenza e di consapevolezza dello spazio in cui ci si trova, perché un effetto contrario, come quello di disorientamento, creerebbe un allontanamento e disinteresse per tutto ciò che è ivi presente. Perciò l’effetto che si deve ottenere è quello di lasciare impresso nelle menti dei visitatori il ricordo di un’esperienza positiva.

[…] Per capire fino in fondo un museo non ci si può limitare a osservarne la pianta e non basta neppure vederne l’allestimento; bisogna vederlo vissuto e animato dal pubblico per rendersi conto delle scelte che i visitatori fanno, a volte completamente diverse da quelle attese e suggerite dall’allestimento stesso.

[1]Cfr. S. Arcella, La gestione dei Beni Culturali. Fruizione, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale italiano, Finanza & Lavoro, Napoli,2000, pp. 68- 71

Dunque nel momento in cui si entra in un museo ciò che ci si aspetta è che il visitatore ne esca convinto di aver appreso qualcosa, che il contenuto ivi inserito non sia una raccolta di vecchi oggetti messi a caso perché non si aveva altro luogo dove conservarli: insomma il museo non è un ripostiglio! Il museo è, sì, un luogo di conservazione e di memoria, ma deve soprattutto essere un luogo che parla, che racconta attraverso l’esposizione la sua storia, del perché si trova lì, quale funzione ha avuto nel passato e cosa rappresenta per noi oggi.
Pertanto ciò che si deve assolutamente evitare è che un museo diventi o nasca “statico”, cioè un luogo freddo, muto e asociale; personificazione di una persona appartata e solitaria, che non parla, non interagisce con il pubblico, che vuole stare per conto suo; un inetto ed escluso, in altre parole. Eh, no, non deve essere così un museo! Deve al contrario attirare a sé, chiamare il pubblico, incitarlo ad entrare e poi, fargli godere la sua camminata nella storia, per far sì che ne esca consapevole di aver imparato un tassello dell’enorme puzzle della storia.

Ammetto che non è facile organizzare ed allestire un museo, ma il segreto è uno: mettersi sempre nei panni dei visitatori, chiedersi cosa si aspetta e cosa cerca nella collezione che trova esposta.

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Museo Paolo Orsi, Siracusa. L’immagine ha puro scopo indicativo, non fa alcun riferimento o allusione al contenuto appena scritto sopra.

 

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