storia dell'arte

Pillole…di storia dell’arte: l’arte per la società (e dalla società) – PARTE IV

Continuiamo il discorso che avevamo lasciato in sospeso circa il ruolo dell’arte nella società, partendo dalle considerazioni di due sociologi che si sono occupati di arte, Durkheim e Simmel. In questo modo saremo in grado di dare delle risposte a noi stessi e agli altri a proposito di certe domande imbarazzanti come: “Che cosa è la storia dell’arte?”, “A che cosa serve?”, “Perché si studia?”.
E per chi non avesse ancora letto le prime tre parti su questo argomento vi indirizzo agli articolo del blog Valorizziamo Arte —->

https://valorizziamoarte.wordpress.com/2018/03/05/pillole-di-storia-dellarte-larte-per-la-societa-e-dalla-societa-parte-i/

https://valorizziamoarte.wordpress.com/2018/03/08/pillole-di-storia-dellarte-larte-per-la-societa-e-dalla-societa-parte-ii/

https://valorizziamoarte.wordpress.com/2018/03/13/pillole-di-storia-dellarte-larte-per-la-societa-e-dalla-societa-parte-iii/

Sulla base di quanto detto fino ad ora ne possiamo dedurre che l’arte è:

  • funzionale alla società;
  • favorisce l’identificazione dell’individuo in una comunità;
  • favorisce i rapporti che si sviluppano durante le attività collettive quotidiane;
  • funzionale a perpetuare un’idea, un sistema e una credenza;
  • dotata di autonomia stilistica e di continuità delle configurazioni estetiche che consentono di identificare figure e cose. Ad esempio una figura femminile con il capo velato e un bambino in braccio, portano il nome di Madonna con il Bambino; un uomo quasi nudo con le braccia inchiodate ad una croce, Gesù crocifisso; un uomo seduto di una certa stazza, Buddha; e così via.

Il tutto influisce alla creazione di una cultura.

Tuttavia lo studio condotto da Durkheim non mette in luce la creatività, che è invece fondamentale presupposto per le teorie sulla sociologia dell’arte di Simmel. Questi, di matrice idealistico-romantica, riteneva che in una visione positivista, come quella di Durkheim, non si poteva tenere conto delle interazioni tra gli uomini, fautori da sempre di conflitti. Lo scontro, che si può manifestare in diverse forme, non deve necessariamente essere visto come negativo, dice Simmel, piuttosto è alla base dei cambiamenti. In tutto ciò l’arte diventa un correttivo etico, in grado di fronteggiare la catastrofe della <<tragedia dell’arte>> [1]; in altre parole ciò che vuole dire Simmel è che l’arte con il suo lato creativo ha la possibilità di restituire moralità e vita, risvegliando il lato sensibile e spirituale che la vita sociale, con i suoi problemi, nasconde e ignora.

Perciò partendo dal pensiero di Simmel l’arte è parte “dissidente”  (distaccata) del fluire storico, da cui […] si differenzia, sia per formalità che per valore d’uso. Tanto è vero che l’uomo, nel circondarsi di oggetti d’arte […] partecipa ad un processo di conversione energica degli oggetti, il cui <<sviluppo transnaturale delle loro energie vale come processo culturale>>. L’arte è […] la più “autoreferenziale” fra tutte le forme di attività comunicativa umana. Lo studio dell’arte parte dalla critica della conoscenza storica la quale riconosce il presupposto che i valori non possono ricondursi ad una specie di “causalità neutra” per poi giungere a riconoscere all’arte il potere liberante di scardinare qualsiasi forma […]. Quando il fine è conoscitivo, allo studioso conviene di riconsiderare, ricostruire, i caratteri dell’epoca storica […] [2]

Dunque, da questo ragionamento si nota come l’arte da funzionale alla società diventa autoreferenziale, dissociata dal fluire storico. In effetti questo pensiero diventa valido da un certo periodo della storia dell’arte, dagli Impressionisti in poi, coloro i quali fanno dell’arte uno strumento con il quale studiare il cambiamento della luce sugli oggetti, volendo rappresentare questi, attraverso l’intensità luministico-tonale. Quindi gli artisti lavorano a delle opere che riflettono i loro interessi, suscitando l’interesse e l’apprezzamento da parte del pubblico. In altre parole, a differenza dell’età moderna, in età contemporanea, è l’artista a inserirsi nella società piuttosto che la società ad inserirlo. È un processo lento e graduale che non avviene all’improvviso, perché sono tanti gli artisti che lavoravano su richiesta di committenti per molti decenni. Però in linea generale dall’Ottocento, l’artista diventava più autonomo, partendo dalle riflessioni sulla natura, senza gli idealismi Rinascimentali, e approdava ad un Realismo che con i secoli  si è trasformato in Surrealismo, cioè in una produzione che era fortemente legata alla personalità dell’autore, alle sue visioni, al suo modo di vedere le cose, al modo con cui interpretava e vedeva la realtà. È così allora che il pubblico iniziava con maggiore difficoltà a capire le opere, a leggerle ed interpretarle; è così che nascevano tanti stili e movimenti artistici a cui ciascun autore aderiva o si rifaceva, mettendo sempre del proprio, rendendo le proprie opere uniche ed originali.
Però in tutto questo non si può dire che la società era distaccata dall’arte, perché è stato proprio il cambiamento di questa a determinare un processo di trasformazione della produzione artistica. Si pensi all’invenzione della fotografia: per gli artisti è stato un colpo basso, uno schiaffo improvviso, a cui dovevano far fronte per poter essere ancora validi nella società. La fotografia, la novità del secolo Ottocento che aveva sicuramente affascinato e catturato l’interesse di un vasto pubblico, permetteva di riprodurre ciò che si vedeva in maniera perfettamente identica sull’immagine impressa. Sorprendente, straordinario! E allora gli artisti che fino ad allora avevano lavorato e studiato per rendere le loro opere quanto più vicine alla realtà, alla natura, come potevano colpire ed entusiasmare nuovamente il pubblico? Introducendo novità stilistiche e formali: pennellate veloci fugaci, definizione della forma sempre più superflua, meno curata e studiata, soggetti reali o immaginari, oggetti deformati. Tecniche pittoriche originali come il puntinismo o piccoli tratti spontanei sulla tela.
È chiaro che se volessimo entrare nel dettaglio, non è che tutta la produzione fosse così, si ricordino le produzioni di Constable e i suoi temi paesaggistici; Courbet e le scene mondane; Gericault e le sue cronache nere in pittura; Ingres e i suoi nudi; Fattori e le distese toscane. Dietro tutti questi artisti c’è ancora uno studio attento delle figure e degli spazi; ma anche loro sono nuovi ed originali: c’è chi risalta la natura paesaggistica per dare la possibilità al pubblico di potersi immergere nella dimensione idillica e tranquilla, lasciando alle spalle il degrado urbano dell’industrializzazione; c’è chi introduce un genere pittorico che rappresenta per la prima volta la mondanità, con le sue fatiche e i suoi momenti di vita quotidiana; c’è chi fa della pittura uno strumento con cui raccontare la cronaca; c’è chi mette dell’esotico, tanto amato dal pubblico moderno; c’è chi fa dell’arte uno strumento con cui valorizzare il proprio territorio.

Eppure anche la loro arte è espressiva, perché ogni opera è una riflessione sulla e dalla società, sul suo cambiamento; diventa nostalgia e ricordo di valori e di interessi antichi, a tal punto che non può più essere funzionale alla società da quando gli uomini hanno spostato il loro interesse alle tecnologie (a partire dall’industrializzazione). L’arte diventava sempre più autoreferenziale, personale, fine a se stessa. Perciò nonostante tutto non si può negare un collegamento e un riferimento alla società, con la quale l’arte sempre più si è confrontata e continua a non essere indifferente.

…To be continued…

– Quanto scritto sopra è uno spunto di riflessione che parte dalla lettura dei primi due capitoli del libro di G. M. Cossi, Il contributo dei classici alla sociologia dell’arte, Aracne, Roma, 2005 

[1] : cit. G. M. Cossi, Il contributo dei classici alla sociologia dell’arte, Aracne, Roma, 2005, p. 39;
[2]Ivi, p.41.

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G. Fattori, Calesse nella Maremma toscana, 1894, Palazzo Pitti, Firenze

 

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