storia

Era l’11 gennaio del 1693…

Catania

Era la domenica dell’ 11 Gennaio del 1693, quando la gente rintanata dopo una giornata di riposo tra le varie faccende, si preparava alla notte per affrontare la dura ed estenuante settimana lavorativa. Ed ecco che alle ore 21:00 la terra iniziò a tremare sotto i loro piedi, un rumore profondo misto a oggetti e vetri che si rompevano. Confusione e panico si mescolavano tra la gente che urlante si riversava nelle strade, fuggendo a non si sa cosa visto che l’eternità di quei secondi erano entrati nelle loro vene come se stessero trascorrendo minuti ed ore. La gente era morta ancora prima che potesse muoversi, ma anche chi fuggiva si trovava colpito e schiacciato da massi di pietre di palazzi. Attimi e secondi di tremore non abbandonavano le gambe degli uomini sopravvissuti e feriti, che cercavano una via di fuga: chi guardava il mare, ma questi si rifiutava di accoglierli, visto che il terremoto proveniva da lì, scatenando un maremoto che spazzò la piazza principale insieme alle sue attività; per terra non sembrava essere una buona soluzione, considerato che anche il buon monte Etna tremò di paura sbuffando fumo e cenere. Alla gente sopravvissuta non restò che soffermarsi sul posto, rimediare un posticino dove dormirci su (una parola) e sperare che si trattava di una brutto sogno.
Invece al risveglio Catania era una distesa di macerie e cadaveri; il silenzio del luogo era rotto dalle voci dei sopravvissuti, ricchi e poveri, giovani e vecchi, accomunati dall’angoscia di aver perso tutto, magari anche i propri familiari.

Dopo 326 anni la storia della Sicilia attraversata dai terremoti sembra non aver fine una volta per nuove faglie che si aprono, una volta per l’Etna che ha voluto festeggiare il Natale, rovinandolo a qualche paese montano. E allora come oggi il terremoto si presenta con le stesse dinamiche ora leggero ora tremendo.
Quella del 1693 fu una scossa dal magnitudo di 7.4, che colpì la costa orientale della Sicilia, tra Catania e Siracusa, passando alla storia come il “terremoto della Val di Noto”; il devastante sisma distrusse più di 45 centri abitati causando circa 60 mila vittime. A Catania furono 16.000 le vittime su una popolazione di 20.000.

Giovanni Evangelista De Blasi, uno storico del ‘700, scriveva così di Catania: <<in pochi momenti diventò un mucchio di pietre>> e che <<grandi furono, come che minori, i disastri che soffrivano le altre città delle due mentovate valli (Noto e Demone)>>. Una sintesi efficace che racconta il peggiore dei terremoto che, in epoca storica, ha colpito il territorio italiano.

E ancora un altro testimone del tempo: <<Il Regno è un cadavere! Le circostanze correnti son pessime; qui si temono tre pericoli grandissimi: il primo che è la peste per la puzza di tanti cadaveri, il secondo si è quello della fame, perché non c’è più chi coltivare li campi ed il bestiame rovina li seminati, il terzo è quello della guerra, essendo le porte principali del Regno aperte, senza speranza di poterle guardare e chiudere>>.

I catanesi non avevano più lacrime per piangere, solo pietre e cadaveri rimanevano e i mesi che seguirono per i sopravvissuti fu una vera e propria prova darwiniana. Le condizioni erano di estrema precarietà tra continue scosse (ne seguirono altre 1500 dopo giorno 11), il freddo, scarsità di viveri e di beni di prima necessità (delle riserve di grano andarono distrutte perché i magazzini dove veniva conservato si trovavano nei sotterranei dei castelli e dentro magazzini posti nei piani terra), mancanza di medici necessari per curare i tantissimi feriti, il costante rischio di epidemie. Catania fu praticamente abbandonata e rimase in mano agli sciacalli e ai ladri. Passarono 4 giorni prima che giungessero i primi soccorsi. Eppure i catanesi ebbero la forza di riprendersi, una mano sollevò l’altra e tra sorrisi di incoraggiamento e ringraziamenti a Dio per essere ancora vivi, nel giro di breve tempo furono erette migliaia di capanne, anche perché la popolazione rifuggiva dalle grotte a causa del ripetersi di scosse di terremoto anche molto forti. L’importante era sopravvivere all’inverno, visto che quell’anno fu particolarmente piovoso. La volontà non mancò di certo.

I lavori di ricostruzione della città iniziarono l’anno successivo nel 1694, grazie all’impegno del Duca di Camastra, nominato dal Viceré Uzeda Vicario della Val di Noto e Val Demone, Giuseppe Lanza. Per Catania la sciagura fu l’occasione per rinnovare la città secondo i canoni urbanistici delle città moderne europee, rappresentati da un’impianto urbanistico di tipo regolare e geometrico, accompagnato da un gusto per l’estetica che nel caso della città siciliana si rifletteva nello stile tardo barocco che fu mantenuto come tale per tutto il secolo e mezzo in cui la ricostruzione ex novo costituì. Ebbene sì, alla vigilia dell’Unità d’Italia Catania era ancora un cantiere, curando i dettagli e i particolari che fanno di Catania una città moderna e a misura d’uomo. Le dimensione dell’allora città catanese si racchiudevano entro le mura perimetrali che rappresentano oggi il centro storico, partendo da Piazza Duomo fino all’ex tondo Gioeni, dove termina la famosa Via Etnea; in largo invece la città si estendeva dal Monte Vergine, dove sorge il Monastero dei Benedettini fino al porto marittimo al termine della Via San Giuliano. Un disegno urbanistico che ricorda quello di un triangolo isoscele, le cui vie principale (Etnea e Giuliano), rappresentano a tutt’oggi il cardo e il decumano della città barocca. Non manca lo svelamento in quegli anni di ricostruzione di molte antichità che fanno di Catania una città intramontabile ed unica.

Piazza Duomo, Catania

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